INTRODUZIONE AL CAFFE’ DI QUALITA’ – GIAMAICA vs LAVAZZA – PARTE I – LUCA FARINOTTI #MONDORISTORANTE

INTRODUZIONE AL CAFFE’ DI QUALITA’ – GIANNI FRASI vs LAVAZZA – PARTE I

LUCA FARINOTTI – #MONDORISTORANTE

Le caffetterie, i bar, le torrefazioni e i ristoranti non offrono al prodottoconsumatore, se non in rari casi, una lista diversificata di questa bevanda inebriante- servita generalmente in versione espresso – privandolo, dunque, della possibilità di scelta. Questo non significa che gli intenditori rinuncino alle proprie affezioni e ideologie in merito, ma fa sì che la procedura mentale corrente, in virtù della quale si ordina caffè al bar o al ristorante, sia, di fatto, inversa, come per l’acqua minerale, rispetto a quella che sottende alla scelta di qualsiasi altro liquido somministrato all’interno del mondoristorante. Per esempio, al ristorante, si ordina, di norma, prima il cibo e poi si sceglie un vino da abbinare. Qualora si ordini il vino prima dei piatti, è perché il cliente accarezza a priori l’idea di un’etichetta che sarà subito cercata nella lista. La medesima dinamica di determinazione della scelta è riferibile alla totalità delle restanti categorie di liquidi disponibili nei luoghi di ristoro: dalla birra ai cocktails, poi succhi di frutta, smoothies, estratti e analcolici in genere, gli amari, i tonici e i rinfrescanti, e infine i distillati. Perfino nel settore degli infusi e dei tè le opzioni sottoposte al cliente, seppur frequentemente viziate da inutili ridondanze e/o selezioni desolatamente scombinate, sono numerose ed eterogenee. Il caffè è uno, sempre e comunque. Infatti, sia presso i negozi di torrefazione che propongono diverse miscele, per caratterizzazione percentuale o geografica, sia presso i punti vendita delle catene specializzate che si piccano di offrire una vasta varietà di tipologie, il caffè, in realtà, è sempre uno e uno solo, giacché varietà diverse corrispondono a uno stesso tipo di tostatura e diversi gradi di tostatura corrispondono comunque alla mano dello stesso tostatore. Va da sé, in conseguenza, che i vari bar, ristoranti, alberghi eccetera, adottino un solo tipo di caffè, diventando a tutti gli effetti, nel settore specifico, un fornitore monomarca, per motivi soprattutto pratici: una vera macchina del caffè espresso è molto ingombrante; il numero di macinatori ipoteticamente necessari a garantire più di una proposta dovrebbe essere direttamente proporzionale alla quantità stessa delle proposte. Il caffè va consumato in fretta, fresco di tostatura e non può dunque essere stoccato in quantità superiori alle consolidate previsioni di uso quotidiano che, eventualmente diversificato, premierebbe alcune tipologie, penalizzandone altre, causando quindi una perdita economica per l’esercente. Infine, le diverse regolazioni di macinatura, da modularsi a seconda di umidità, tipo di caffè eccetera, nel caso di una multi-offerta, costringerebbero l’esercente a destinare una quantità incongrua del proprio tempo, quando non addirittura a dedicare un addetto esclusivo, a tali certosine operazioni di calibratura.
Pare dunque appropriato che l’esercente, fornitore specifico di caffè espresso, scelga di somministrare una sola e unica marca di caffè. E’ a questo punto, però, che il fruitore si ritrova nell’insolita dinamica inversa di scelta che ho premesso. L’accettazione acritica del fatto che l’esercizio pubblico fornisca una sola marca di caffè diviene convenzione e il fruitore modello che, in un dato momento, assume come norma di scegliere un vino o un cocktail, sapendo bene a priori di avere voglia di un vino bianco piuttosto che rosso, o di un Negroni piuttosto che di un Americano, al momento del caffè invece, che sia un espresso in piedi al bar o il corroborante fine pasto del ristorante, sa solo di avere voglia di un caffè. Il fruitore modello probabilmente non si chiederà, per l’appunto, se stia desiderando un caffè sapido piuttosto che grasso o aromatico piuttosto che cremoso, quindi ordinerà semplicemente un caffè che, perlopiù ampiamente addizionato di zucchero, verrà normalmente ingurgitato in un sol colpo. Conclusosi tale atto convenzionale, pochi mettono in funzione la capacità reattiva che preveda una riflessione a posteriori, non tanto sulla reale qualità del prodotto, ma sul perché questo prodotto sia stato adottato dal somministrante e, in seguito, servito loro. Pochissimi approfondiscono l’esperienza a livello interattivo, così da chiedere il nome della marca del caffè e relative informazioni organolettiche, di provenienza e produzione.
Il cliente, dunque, a causa della dinamica inversa, tende ad approcciarsi al mondo del caffè espresso, come spesso a quello dell’acqua, con una predisposizione di adattato disinteresse, molto simile a una sorta di rassegnazione inconsapevole.
A questo punto serve che l’esercente, presunto innocente poiché complice incolpevole di tale dinamica inversamente induttiva, salga in cattedra e onori il proprio mestiere. Se il caffè è uno e il fruitore modello, prodottocomnsumatore, già mediamente passivo, approccia da qualunquista il momento del caffè di fine pasto piuttosto che di inizio brunch, diventa palese che all’esercente di mondoristorante, si configuri l’occasione più favorevole, quasi unica nel proprio mestiere, di fare una scelta virtuosa per il cliente a priori, trasformandosi così nel suo comandante di fiducia, alla guida di un treno lanciato in un viaggio sicuro. Assumendo poi che la scelta a monte di un prodotto rappresenta la responsabilità massima del fornitore, ma anche il maggiore dei privilegi, e se è vero che il fruitore medio è spesso incapace di scegliere e orientarsi perché naturalmente incline all’auto avvelenamento e facile a scivolare nell’acquisto di prodotti sbagliati (per ignoranza, noncuranza e schiavitù intellettuale), diventa ovvio che, quando circoscritto alla categoria specifica della somministrazione di caffè, il rapporto tra fornitore e consumatore è, senza eccezioni, nelle mani del ristoratore/barista che, molto semplicemente, non deve far altro che selezionare il meglio possibile: la migliore materia prima, la migliore tostatura, il prodotto più etico e possibilmente estraneo al contenitore inglobante/glorificante. Il cliente modello non sarà avido di domande preventive riguardo al caffè, anzi il suo atteggiamento da passeggero confidente sarà unico, rispetto ai potenziali sviluppi dialettici riferibili a qualsiasi altra esperienza percorribile nell’interfaccia prodottoconsumatore/mondoristorante. Se l’esercente si darà come regola di proporre semplicemente il meglio, bypasserà la fase di discussione a priori sulla natura stessa del meglio, non a causa dell’apatia del cliente, ma per la fiducia che quest’ultimo gli accorderà. L’esercente si trova dunque nella fortunata posizione di potere causante in virtù di cui, in modo non reattivo ma attivo, stimolerà le considerazioni del cliente, conducendolo in viaggio. Potendo svolgere appieno, insomma, il vero compito per cui egli indossa un grembiule, ovvero fare cultura.

La storia vuole, però, che la condizione di libertà e l’acquisto di un potere non siano generalmente considerati dall’uomo come opportunità di sviluppo, quanto piuttosto come occasioni di sfruttamento, speculazione e fraudolenza. L’animale ammaestrato, che si ritrova nell’insolito stato di libertà, fa danni per natura.
E se la maggior parte dei casi di abuso di ruolo da parte del mondoristorante, in merito a comportamenti diseguali, contrastanti e poco etici può essere argomentata e, in alcuni casi, discolpata, per nessuna ragione può essere giustificabile una gestione mendosa del prodotto caffè. Dal bar di quartiere alla stazione di servizio autostradale, il caffè si può frequentemente considerare il core business della ristorazione veloce. Se si considera poi che, dalla peggiore alla miglior qualità di caffè, passano pochi centesimi di differenza di costo vivo a tazzina, si dovrebbe presumere che un mercato intellettualmente libero, basato esclusivamente sulla promozione della Qualità, favorisca l’estinzione dei prodotti spazzatura. Infatti, l’esercente che scelga la materia prima più pregiata, non correrà rischi rilevanti di sinistrare i suoi guadagni che, anzi, aumenteranno in virtù del sempre incrementante fattore qualità. Ma allora, perché, in evidente opposizione alle premesse descritte, il mondoristorante soffre di un’incentivazione globale (da considerarsi tra le più becere, in quanto sostenuta da una estesa distorsione di informazioni slealmente fornite al consumatore e atte a reggere l’accettazione convenzionale passiva di parametri qualitativi fasulli) al consumo di caffè della qualità peggiore, sostenuto dai colossi di produzione? Per rispondere a questa domanda bisogna comprendere il funzionamento del mercato del caffè. Il Trust a esso connesso, come avverte Gianni Frasi, è il secondo del mondo, dopo quello del petrolio e precede addirittura quello dell’acciaio. “Nel 1960, in Italia, c’erano circa 9.500 torrefazioni artigianali. Oggi, a tostare realmente il caffè siamo meno di 450. Ce n’erano 8.500 in Germania. In questo momento, 186. In Francia, dove erano più di 9.500, sono ora 45. Il 50% di tutto il caffè che viene bevuto in Europa oggi è costituito da preparazioni fatte con cialde e capsule. E’ la sparizione del caffè. I caffè, oggi, hanno tutti lo stesso sapore. Gli ibridi utilizzati in piantagione hanno tutti lo stesso sapore. La varietà Costa Rica non sa più di Costa Rica, così come la Guatemala, la Brasile eccetera. Il Tavernello, se ci riferiamo al mondo del vino, non lo puoi servire, in quanto tale, in un ristorante con tre stelle Michelin mentre, per quanto riguarda il caffè, è diffusissima l’abitudine di servire, anche da parte di un Tre Stelle, un caffè di scarsissima qualità. Per ragioni inconfessabili, che legano i ristoratori ai loro fornitori di caffè, la qualità media che si riscontra oggi è la più bassa rispetto a qualsiasi altra categoria di prodotto del mondoristorante, dal bar di quartiere ai più celebri ristoranti del mondo”.
Gianni Frasi parlò nel dettaglio, in una intervista rilasciata a Report dei meccanismi che governano l’industria e il mercato del caffè mondiali, riferendosi al degrado delle materie prime utilizzate a a quello che lui definisce satanismo del mercato. “Se la parola aramaica Satàn, in italiano significa capovolgitore, siamo di fronte al Capovolgitore dell’espresso. La preparazione in capsula non è una caricatura dell’espresso, ma una parodia. E se, come si dice, Satana è la scimmia di Dio, allora la cialda si può definire la scimmiottatura dell’espresso.” L’intervista, riproposta alcune volte, fu poi tagliata e infine rimossa anche dal Web, a causa dell’intervento censorio degli sponsor televisivi. “L’atteggiamento del torrefattore – aggiunge Frasi – non deve essere in nessun caso utilitaristico, speculativo, mediatico”. Il sistema che governa l’industria del caffè nel mondo non è dissimile da quello che sostiene tenacemente l’industria di tutti gli altri prodotti inglobati e inglobanti al Grande Contenitore.
Facciamo un passo indietro: la macchina del caffè espresso è stata inventata da un italiano, un torinese, e l’Italia vanta una tradizione unica, per scuola e mestiere, riguardo alla torrefazione. L’eterogeneità di stili di tostatura che ereditiamo oggi è un patrimonio culturale che, nella sua filologia, assomiglia molto alla mappa sconfinata delle varietà capillari delle gastronomie regionali italiane. Per comprendere meglio il caffè, dalla sua scaturigine fino all’imprescindibile pietra miliare del costume italiano, ovvero la quotidiana tazzina di caffè espresso, occorre dapprima considerare come il produttore virtuoso si differenzi dall’industria, riguardo alla selezione del chicco, nonché sul conseguente scarto del chicco non idoneo. Il secondo passaggio riguarda la tostatura. La qualità di quest’ultima, in genere, è inversamente proporzionale alla grandezza dell’azienda; più le quantità di caffè da lavorare sono alte, meno le tostature saranno accurate e, soprattutto, delegate all’utilizzo di alta tecnologia standardizzante non essendo possibile, oltre certi limiti, l’azione diretta, determinante, della mano umana. A livello industriale, la tostatura si trasforma in forme di lavorazione omologate quali cottura, lessatura a vapore, induzione di calore e altri metodi che non hanno nulla a che vedere con le necessità fisico-chimiche connesse alla trasformazione mistica del chicco di caffè. I macchinari tecnologicamente avanzati, che garantiscono l’ottimizzazione elettronicamente automatizzata alla tostatura del caffè, non possono sostituire l’abilità umana poiché, pur producendo in scala le tipologie richieste dal mercato, per toni di gusto definiti carico, morbido, forte eccetera, non sono in grado di originare l’evento necessario alla trasformazione del chicco di caffè in qualcosa di uguale al sé primigenio, pur alterandone la condizione. Si tratta della transustanziazione vera e propria del chicco, che solo la tostatura eseguita con una macchina a controllo esclusivamente manuale, governata da un maestro umano e non da un computer, può generare. Nella tostatura manuale eseguita da un maestro torrefattore, il chicco riceve il fuoco diretto e raggiunge velocemente il suo apice, così come un frutto sull’albero riceve il calore del sole e, nello scorrere dei giorni estivi, raggiunge la sua perfetta maturazione. Ma, come al frutto l’albero dona gli aromi migliori soltanto negli istanti prima di rilasciarlo, così allo stesso modo il chicco riceve dal fuoco la sua metamorfosi finale solamente all’apice di uno e un solo istante perfetto: una sorta di esplosione interna procrea il neochicco che, come una farfalla nata dal bruco, ha un nuovo colore, un nuovo peso specifico, una nuova composizione, una nuova essenza. Con la mutazione vengono asciugati tutti gli acidi grassi e, contemporaneamente, rivelati e sprigionati solo in quell’istante, non prima e non dopo, tutti gli aromi in potenza occultati nel chicco verde e inesprimibili altrimenti che attraverso il fuoco. L’alchimista tostatore ha il compito difficilissimo di prevedere, individuare a vista e infine gestire con maestria questo attimo in cui il chicco assume una particolare sfumatura di color tonaca di frate. Accoglierai, allora, nel tuo palmo, chicchi leggeri, eufonici e tintinnanti, croccanti e asciutti. Qualsiasi altro momento in difetto lascerà il chicco più pesante, unto, meno digeribile. Qualsiasi altro momento in eccesso lascerà il chicco bruciato, amaro. Qualsiasi altro tipo di tostatura che non sia quella manuale a legna, darà chicchi dell’una o dell’altra specie. I tostatori, nel mondo, in grado di donare il chicco perfetto sono pochissimi. Avremo quindi torrefattori che, per rimanere in vita sul mercato, sceglieranno linee prudenti, ottenendo caffè non perfettamente tostati, e altri che produrranno caffè forti ma indigeribili. Infine, importantissima è la distinzione tra le razze di caffè Arabica e Robusta, legata al contenuto di acidi grassi. La maggior parte dei bar preferisce somministrare miscele con alte percentuali di Robusta (mal tostata) che garantisce un volume maggiore di crema, ma è anche meno digeribile.
I messaggi pubblicitari sul caffè ci inducono ingannevolmente a identificare l’alta qualità con il packaging, funzionale tra l’altro all’individuazione della categoria di gusto preferita, all’interno dell’eterogenea disponibilità di cui già accennato. Gianni Frasi, al contrario insegna che ogni tipologia di caffè ha sue caratteristiche peculiari, legate all’origine, che possono essere evidenziate solo con una perfetta tostatura. Il caffè industriale acido e grasso, inoltre, alimenta l’abitudine all’utilizzo dello zucchero raffinato, distorcendo la natura di questa bevanda mistica che, quando ben fatta, esprime un nerbo di sapidità, antitetico all’aggiunta dello zucchero. Lo zucchero infatti serve a bilanciare il gusto forte e irritante originato dagli acidi grassi della Robusta. Un caffè mistico è quasi salato e possiede un ventaglio gusto-olfattivo caleidoscopico. Questa sublimazione non può essere conferita nemmeno a varietà geneticamente superiori, come la Jamaica Blue Mountain, se queste vengono gestite dalle multinazionali che lessano il caffè, mantenendo al suo interno i grassi e gli oli essenziali.

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