L’auto omologazione delle super guide del vino (Luca Farinotti – makemeitaly.it)

Oggi è sufficiente leggere i punteggi sulle guide internazionali per immaginarsi in modo preciso e inequivocabile i profumi e il sapore di un dato vino

di Luca Farinotti

Mentre, in Italia e nel mondo, si assiste in questi ultimi anni a una fioritura entusiasmante di vignaioli e vini connessi alle identità territoriali, nonché a precisi parametri filosofici, etici e agronomici tesi all’ottenimento di prodotti dalle caratteristiche uniche e inimitabili, dall’altra c’è un mondo intero che se ne infischia di questo nuovo rinascimento, continuando a organizzare i propri campionati mondiali del vino, auto attribuendosi i gradi dell’ufficialità e dell’autorevolezza che vengono assunti come istituzionali da gran parte dei consumatori. È il mondo delle super guide internazionali, che hanno cambiato il modo di bere, lentamente, subdolamente. Abbiamo subito un lento e silenzioso condizionamento regolato da una scientifica multiprogrammazione: dapprima l’istituzione di una forma di giornalismo pseudo divulgativo, governato da parametri totalitari, capace di imporsi sul mercato del vino utilizzando la strategia di scatenare una competizione spietata su scala globale. Per farla semplice, le guide prendono tutti i produttori, li mettono in una gabbia, puntano un’arma carica su di loro e poi annunciano: scannatevi a vicenda, a chi resta in piedi risparmierò la vita. Avere salva la vita, in questo caso, significa essere premiati con i fatidici over novanta punti. Per ottenere tali punteggi, però, è necessario adeguarsi ai parametri omologanti scevri di qualsiasi considerazione nei confronti di territorio, storia e tradizione, e perciò fautori, a pieno titolo, dello sterminio delle identità culturali. I parametri da rispettare sono invece meramente riferiti a precise caratteristiche gusto olfattive che il vino alla Parker, o alla Wine Spectator, deve possedere, a prescindere dall’origine geografica: sono per esempio le scale di concentrazione e di morbidezza, il cui ottenimento al massimo grado è subordinato all’uso di un determinato tipo di legno per l’affinamento, o di lieviti selezionati per la fermentazione. Nei parametri parkeriani è data poi estrema importanza alla fase tecnologica a discapito del lavoro in vigna, paradigma del rapporto dell’uomo con la terra e con le stagioni (non a caso Michel Rolland, nella sua intervista in Mondovino dichiara apertamente: chiedetemi di fare il vino sulla luna, lo farò, alludendo chiaramente all’uso della tecnologia come mezzo d’elezione rispetto al lavoro in vigna che, si sottintende, è soggetto a variabili imprevedibili e limitanti derivate dall’instabilità della natura e dalla aleatorietà del rapporto dell’uomo con la stessa). Tali parametri, seppur conditi dalla promozione della fede nella tecnologia come fattore di controllo della natura, presiedono il solo obiettivo di uniformare il vino a un gusto riconoscibile in tutto il mondo, suscitando nel produttore il miraggio dell’aumento illimitato del bacino d’utenza. Per adeguarsi al sistema, il produttore deve rinunciare senza compromessi alla propria identità storica e culturale: così, egli si dovrà convincere che il Barolo, anche se è sempre stato fatto per essere Barolo, per entrare nell’élite dei grandi opinion leader mondiali, dovrà assomigliare a un vino parker, perciò dovrà essere più scuro e muscoloso, più morbido e potente. E se il tratto enologico distintivo del Barolo, come pure la sua naturale predisposizione genetica, risiede, da sempre, nella levigatezza dei profumi, nella sapidità dei sapori e e nell’eleganza delle sue sfumature, chissenefrega. Il produttore che ha sempre seguito il suo percorso, anche evolutivo, indipendente, ora si accorge che suo vicino di casa, storicamente meno valente di lui, all’improvviso lo supera nei punteggi sulle guide. Il sistema lo porta così a chiedersi cosa fare per tornare al passo. La risposta, in molti casi, è fare un vino che piaccia al mondoparker. Apportare modifiche rilevanti a un consolidato sistema di produzione, significa doversi avvalere di consulenze professionali all’avanguardia. E qui entra in scena quello che una volta si chiamava enologo esterno, ma che oggi è molto di più di un semplice tecnico. Innanzi tutto, è molto amico di Parker se, per esempio, si chiama Michel Rolland e, in secondo luogo, le sue consulenze sono molto costose perché è un vero e proprio manager. Immaginiamo ora che più la consulenza sarà lunga o minuziosa, più il punteggio sulla guida sarà alto. Da qui in poi, le guide gratificheranno il produttore anno dopo anno con piccoli e graduali accrescimenti di valutazione, non mancando mai di evidenziare, però, la perfezionabilità del vino. E il produttore continuerà a chiedere consulenze per poter migliorare il suo rating, e perciò corrispondere sempre più ai nuovi parametri convenzionali. Dopo alcuni anni votati al sacrificio di se stessi, dei propri introiti, della propria identità aziendale e territoriale, il produttore si attesterà sul mercato con un vino punteggiato privo di legami con il percorso della propria azienda, spesso secolare, antecedente all’avvento del mondoparker. Non sarà più Barolo, Barbaresco o Brunello di Tizio, Caio e Sempronio, ma sarà, invece, semplicemente, un vino alla parker, pronto per essere venduto a Hong Kong o Mosca, e per essere bevuto subito e da chiunque. I sostenitori del sistema asseriranno che il mutamento fa bene all’economia, avvicinando milioni di nuovi consumatori al mondo del vino. Ma è proprio alla fine della catena alimentare del mondoparker, là in basso, che stanno i consumatori, ovvero coloro di cui il mondoparker si nutre. Per questo li chiameremo convenzionalmente prodottoconsumatore.

Il prodottoconsumatore, condizionato e addestrato a riconoscere come buono il gusto omologato, è coinvolto in uno schematico processo involutivo che lo porta gradualmente a perdere, senza rendersene conto, la capacità di discernimento, come in una sorta di sintonia col percorso svolto dal produttore, rimanendo indifeso rispetto a qualsiasi errore, travisamento o truffa. Il degustatore di vino più esperto, una volta integrato il sistema, potrà invece avvalersi della facoltà di non degustare le nuove annate dei vini omologati. Sarà infatti sufficiente leggere i punteggi sulle guide internazionali per immaginarsi in modo preciso e inequivocabile i profumi e il sapore di un dato vino, risparmiandosi l’onere economico, il tempo e il dovere istituzionale di assaggiarlo prima di giudicarlo. Vantaggi dell’omologazione.

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