Luca Farinotti intervista Sandro Piovani: “La ristorazione del futuro ha bisogno di fare rete con il territorio” – makemeitaly.it)

È da pochi giorni in edicola la seconda guida (?), dopo “I ristoranti del cuore”, “A tavola con Sandro Piovani – Il viaggio continua”. C’è voluta una pandemia per avere guide così a Parma, UNESCO City of Gastronomy. Guai a rinnegare le guide ante covid, corredate di gru, pallini, stelline e punteggi, indici di rapporto qualità/prezzo. Chichibìo è, e rimane, critico irreprensibile nonché finissimo scrittore, divulgatore di cultura, maestro gastronomico. E le sue guide, leggendarie nella Food Valley, hanno fatto la storia della letteratura sulla cucina. Così come non è da buttare via il tentativo del sottoscritto di dare a Parma una mini Lonely Planet gastronomica basata sulla sostenibilità (seppur tentare di stabilire metriche in merito rischi di trasformarsi in imprudente gioco da equilibristi). Non si dimentichino le guide della Tamani: prontuari puntuali e immancabili, come gli almanacchi di una volta.  Ma Parma, la petite Paris, è una città difficile. Difficili sono il civis (il parmigiano), difficile il rusticus (il parmense), perché il parmigiano sa mangiare o perlomeno è convinto di saperlo fare meglio di chiunque altro. Perché, come gli italiani sono tutti commissari tecnici della nazionale di calcio, così i parmigiani sono tutti gourmet, nonché severi critici gastronomici.

Ciascuno è depositario della migliore ricetta degli anolini, ciascuna sa incontrovertibilmente quale sia il miglior produttore di culatelli, ognuno tra i tutti sa con certezza quale sia il ristorante migliore.

Calarsi in tale serissimo contraddittorio, non importa la buona fede, può significare prestare il fianco alla spada affilata di spietati paladini di una singola idea. A meno che non ci si chiami Sandro Piovani, Tommaso Moro della Bassa, uomo di tutti.

Solo Piovani poteva scrivere una “guida” dei ristoranti al di sopra di ogni possibile conflitto. Ci voleva, dopo il covid. Ci voleva qualcosa di non cattedratico, non didattico. Qualcosa di letterario. Di veramente libero, in primis dal sentirsi in dovere di esprimere giudizi.

Una guida per il turista, certo, ma anche, e forse soprattutto, per il parmigiano, il parmense.

Ricordo di Sandro quando era alla cronaca (anche nera); lo ricordo pioniere e factotum di tanta televisione, e come radiocronista di calcio, narratore imparziale e bello nel governare con la voce il suo esser tifoso. Tifoso del Parma, tifoso di Parma e della sua gente.

Il Primo tifoso, con quel suo corpone che vorresti abbracciare e da cui vorresti essere abbracciato appena lo vedi, sempre, senza riuscire a trattenerti.

Tifoso di tutti e amato da tutti, con gli anni Piovani è diventato un finissimo gourmet, ma mai spocchioso come tanti che si gasano di essere diventati autorevoli.

In lui si percepiscono approccio, postura e mente da principiante, costanti e reiterati.

Accogliente come deve essere un gourmet, come sa essere solo un vero pensatore. Mai fuori dai confini (non tanto della sua terra, ma della signorilità e dello stile) come, alla fine di ogni storia, è, sempre, un vero scrittore.

Questa guida è magica, allora, perché è qualcosa che a Parma non era riuscito a fare nessuno. Sono solo 25 i ristoranti recensiti, ma a nessuno importa, perché nessuno degli esclusi si è sdegnato di non esserci. Perché questa non è una guida. È invece il viaggio di un uomo incapace di creare divisioni. Un viaggio che si declinerà nel tempo, volume dopo volume, senza frenesie. Chi è sul volume di oggi non era nel precedente e non lo sarà nel prossimo: c’è spazio per tutti, la vita è lunga e senza pagelle.

Le impressioni, le memorie, il racconto di sapori buoni sono impressi sulla carta con la semplice autorevolezza naturale che può scaturire solo dal carisma. Punto e a capo.

Ora, tra una rana fritta e un bicchiere di Pòllera, chiedo a Sandro cosa sia successo nella ristorazione di Parma, della Food Valley, nella ristorazione in generale che, seppur in enorme ripresa, io vedo faticare.

“C’è un problema di fondo che non riguarda la singola attività ma tutto il movimento. Secondo me un ristorante dovrebbe cambiare menu, minimo minimo minimo, almeno tre/quattro volte all’anno; seguire le stagioni. Se tu trovi i tortelli di zucca tutto l’anno, c’è qualcosa che non va. La pasta ripiena è uno dei nostri simboli; tutti a Parma e provincia la sanno fare più o meno bene. Perché non cambiare in base a ciò che la terra dà secondo i cicli della natura? Tanti lo fanno, ma non tutti. E questo dovrebbe stupirci ma in realtà è uno dei sintomi di una fatica a riallinearsi che, in effetti, è un rumore di fondo, ma reale: bisogna partire dalla situazione economica globale che, in una certa misura, rappresenta un freno per il trend, giustissimo, di questi anni secondo il quale mangiare dovrebbe essere un’esperienza, un divertimento.

L- L’economia, dopo il covid, propone uno scenario in cui il costo di materie prime, utenze, lavoro, pressione fiscale è triplicato, quadruplicato…

“I ristoratori fanno fatica. Tanta. Quelli più bravi eticamente cercano di far fronte al momento applicando il ricarico minimo indispensabile a mantenere la dignità della propria professione, perché sono disposti a tenere duro e a resistere affinché la qualità non si abbassi. Questo percorso richiede grande oculatezza, studio, soluzioni nuove. Poi ci sono quelli meno bravi, che magari non hanno aumentato i prezzi. Per mantenerli fissi, però, non hanno visto altra scelta che quella di abbassare la qualità. Così ottengono il ricarico necessario speculando sulla materia prima, riducendo il food cost a discapito della qualità. Così, però, oltre a squilibrare il sistema, arrecano un danno anche a se stessi, poiché questa scelta va a discapito anche del consumatore che oggi è molto più consapevole e non tornerà più”.

L- L’incremento delle spese fisse ha modificato non solo il menu e il food cost: non ti pare che talvolta un approccio sbagliato coinvolga anche altri aspetti oltre al piatto finale? Faccio un esempio, molto calzante con la Food Valley che dovrebbe essere un polo d’accoglienza di prim’ordine. Io noto sempre più spesso che i ristoranti in cui eri accolto anche all’ultimo momento, le cui cucine avevano orari elastici, oggi concentrano il servizio in orari sempre più ristretti; io credo perché il ristoratore deve fare i conti con il lordo delle ore da pagare ai dipendenti (e due ore in più o in meno al giorno possono spostare considerevolmente un bilancio mensile); è costretto a fare anche questi calcoli, quindi c’è una tendenza a ridurre gli orari all’essenziale. La conseguenza, però, è che spesso ci si trova a dover mangiare in fretta e furia anche in ristoranti molto costosi, addirittura sotto pressione perché, così viene spesso detto al cliente, la cucina “deve chiudere”. Così il ristoratore inconsapevolmente scarica le proprie ansie economiche (del tutto comprensibili) sul povero cliente incolpevole che, alla fine, potrebbe sentirsi trattato come né più, né meno che un pollo da spennare. Questo stride parecchio con il concetto di esperienza, condivisione e divertimento.

“Aggiungo che molti hanno dovuto aggiungere ulteriori giorni di chiusura settimanale per riuscire a spalmare ferie e permessi: è un problema economico importante. Ma, allo stesso tempo, come si può imporre a un cliente di finire di mangiare alle 10? Il ristorante è fatto per stare a tavola e, se si vagheggia quel convivio che, come abbiamo detto, dopo il covid si ricerca, bisogna che i ristoratori riflettano su questo perché, come per la bassa qualità, anche questo può diventare alla lunga un autogol, la gente non verrà più e finirà per scegliere locali solo per il fatto che offrono un’esperienza completa, di nuovo a discapito della qualità. Io penso che debbano trovare altre soluzioni, essere lucidi nell’affrontare i problemi”.

L- La tua soluzione?

“Fare ricerca sul territorio, trovare partner alla porta accanto: fornitori di cibo come i contadini locali, le aziende di fianco a casa, produttori di qualità che hanno prezzi calmierati, etici. Io penso che i ristoratori che hanno fatto questa scelta, sono quelli che hanno il futuro in mano”.

L- Fare rete dunque?

“Non c’è altra via. Potrei fare vari esempi di trattorie virtuose nel parmense che lavorano solo con fornitori del territorio. Risolvono, con un solo gesto, molti problemi: mantengono alta la qualità senza stravolgere il conto, creano comunità intorno a sé, riescono a rimanere più elastici e ad ammortizzare l’impatto devastante delle spese fisse. Certo, tutto ciò è dispendioso, ma solo dal punto di vista del tempo, dell’impegno mentale e intellettuale e dell’organizzazione, perché significa avere quasi un fornitore diverso per ogni singolo prodotto (al contrario della grande distribuzione Ho.Re.Ca, ndr). Ma questo mi pare che non tolga alla vita del ristoratore. Anzi, semmai può solo arricchirla, contribuire a realizzarla pienamente”.

Sandro Piovani, “A tavola con Sandro Piovani. Il viaggio continua”, Gazzetta di Parma, 2023. In edicola

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