Ultraliberalismo, libero mercato e schiavitù globale. Responsabilità e ruolo della ristorazione – Luca Farinotti

Ultraliberalismo, libero mercato e schiavitù globale
Responsabilità e ruolo della ristorazione

Qual è il cibo più vero da acquistare? Come posso riconoscere il cibo virtuoso da quello non? Cosa posso fare in merito alla mia relazione quotidiana con l’acquisto del cibo per salvaguardare i miei diritti umani e quelli altrui oltre che le specie animali e vegetali?
Noi consumatori siamo al centro di un meccanismo che ci vede complici di un sistema distorcente il quale sta mettendo sempre più gravemente a rischio la nostra libertà individuale.
Che cosa sta realmente accadendo intorno a noi? Una recente inchiesta sull’agricoltura italiana condotta dal The Guardian rivela un’analisi impietosa che ci racconta di un’agricoltura (9% del PIL) ancora oggi saldamente in mano alla mafia, in riferimento, per esempio, al ruolo della forza lavoro garantita dai nuovi schiavi: i migranti. La sola industria del pomodoro vale quattro miliardi di Euro e l’immigrazione su cui punta il dito Salvini pare sì caotica e incontrollata, come il Premier ci fa intendere, ma stranamente lo sfruttamento dei lavoratori immigrati è sistematico e iper organizzato. I dati dicono che l’economia criminale risulta molto più organizzata di quella legale, come spiega e conclude Leonardo Palmisano nel suo saggio “Mafia caporale”. La grande distribuzione si affaccenda a produrre autocertificazioni a suffragio della legalità della provenienza dei prodotti che vengono venduti negli scaffali dei supermercati, ma in molti casi mente al consumatore che, seppur truffato, diviene complice di quella che è stata denominata la schiavitù del ventunesimo secolo. Si parla di giri di denaro pari a miliardi di Euro e nonostante Salvini abbia ridotto l’accoglienza del 58%, il sistema del caporalato è rimasto pressoché illeso.
Yvan Sagnet ammonisce: “risolvere il problema è proibitivo perché il caporalato e la moderna schiavitù sono gli effetti del sistema, non la causa di questo: è l’effetto dell’Ultraliberalismo applicato all’agricoltura”. Risulta assai difficile quindi credere alla totalità delle autocertificazioni della grande distribuzione a fronte dei continui scandali, inchieste e casi giudiziari; infatti è vero invece che il crimine organizzato da decenni tiene in piedi questo mercato con un obiettivo specifico e condiviso a livello globale: avere la maggior quantità di prodotto possibile al minor costo possibile. “Infatti è bene sottolineare che se da una parte rilevanti porzioni dell’agricoltura del sud Italia giovano al crimine organizzato, dall’altra i più grandi beneficiari di questo sistema sono le multinazionali, le corporations, le catene di supermercati, ovvero i membri portanti del Libero Mercato”. Perciò chi ha interesse che questo sistema rimanga in atto? A chi giova questo genere di immigrazione che qualcuno ha chiamato deportazione controllata? Di certo a un dato sistema che accetti la possibilità di sacrificare milioni di vite in nome di qualcosa di molto più importante: cosa? Teniamo in sospeso la domanda e parliamo invece dell’aspetto legale della produzione di cibo industriale. E’ molto interessante un’intervista rilasciata recentemente dal presidente delle Associazioni dell’industria della pasta e del dolce italiano, nonché vicepresidente di una delle più importanti aziende mondiali nel suo settore, Paolo Barilla. Egli, parlando dell’utilizzo del glifosato, per cui ad esempio il colosso Monsanto è stato recentemente condannato a livello internazionale, afferma: “per l’industria tutto dipende da che tipo di prodotto produrre e a quali costi, perché se noi dovessimo fare un prototipo di pasta perfetta in una zona del mondo non contaminata, senza bisogno di chimica, probabilmente quel piatto di pasta, invece di venti centesimi, costerebbe due Euro. Una pasta a glifosato zero è possibile ma solo alzando i costi di produzione. Il manager prosegue dichiarando di essere contrario all’obbligo di scrivere in etichetta il luogo di origine dei cereali, per chiari motivi di accordi imposti e accettati dalla UE. L’intervista scatenò l’indignazione di diverse associazioni di tutela del consumatore che scesero in campo chiedendo: “se un piatto di pasta incontaminato dovrebbe costare due Euro, diteci allora cosa c’è nel piatto di pasta da venti centesimi!” Ma non è questa la domanda da fare all’industriale perché, tralasciandone l’ingenuità di base, non è questo il punto. Perché il problema sollevato dal consumatore, ovvero il diritto alla salute, non è quello visualizzato invece dall’industria (che, semmai, potrebbe essere nel migliore dei casi il come fare a darci quello che noi vorremmo senza dover alterare il sistema di produzione). Chiedere all’industria del petrolio perché non converta il proprio sistema all’esclusiva produzione di energia pulita non vi sembra una domanda ingenua? La logica dell’industria del cibo segue gli stessi binari e non ragiona secondo la logica del consumatore virtuoso.
Ma se assumiamo i valori del consumatore virtuoso come esclusivi parametri di analisi, risulta evidente che due mondi apparentemente opposti (da una parte la struttura agricola governata dall’illegalità, dall’altra la solidità industriale dell’intoccabilissima credibilità delle aziende portanti dell’economia e del Made in Italy) siano sostenuti in realtà da un’identica logica di fondo, volta al mantenimento di quello che dagli analisti viene chiamato Ultraliberalismo, se applicato ai fenomeni di criminalità agricola, e semplicemente Libero Mercato se connesso all’industria del cibo: avere la maggior quantità di prodotto possibile al minor costo possibile. Che sia legalità o illegalità il principio è il medesimo: è lecito posporre e sacrificare l’uomo, la vita, i diritti umani in nome dell’imperante fede religiosa che il filosofo Diego Fusaro chiama Turbo Capitalismo Apolide.
A chi giova dunque la deportazione controllata di cui racconta il Guardian? Alle multinazionali e all’industria del cibo, abbiamo detto. E a chi giova il piatto di pasta da venti centesimi? Esattamente, sempre alle multinazionali e all’industria. Non certo al consumatore. Infatti piuttosto che chiedere al manager cosa ci sia dentro al piatto di pasta da venti centesimi bisognerebbe chiedergli dove stia scritto che dobbiamo poter avere il diritto di mangiare pasta tutti i giorni. E’ più nostro diritto la garanzia di poter mangiare pasta tutti giorni o è più nostro diritto essere messi nelle condizioni di poter scegliere solo tra cibi veramente sani sul mercato? La logica voluta dall’industria ci porta ad acquistare decine di volte in più rispetto alle nostre reali necessità. Siamo una popolazione diabetica, cardiopatica, celiaca, ammalata di cancro: mangiamo quantità di carboidrati derivati da cereali contaminati centinaia di volte superiori a quanto il nostro organismo sia in grado di sopportare. Questo perché ci siamo convinti, secondo le logiche del Libero Mercato, che la conquista della libertà sia stata quella di poter avere sempre e comunque il piatto di pasta a venti centesimi. Ma questa è la conquista del Libero Mercato dopato, non la conquista della nostra libertà individuale. E’ la conquista del Libero Mercato attraverso la conversione globale alla religione del consumismo. E questo è l’unico sistema che deve essere a qualsiasi costo protetto dal Mercato stesso, anche a discapito di milioni di vite.
I detentori del business del cibo non hanno alcun interesse a divulgare una cultura utile a non farci ammalare di diabete o di cancro da glifosato.
Assunto ciò, la resistenza a questo sistema può partire solo dal consumatore e la conseguente rivoluzione (che non può essere che silenziosa) dalle sue scelte di acquisto quotidiane. Solo se a ciascun singolo consumatore se ne aggiungeranno altri fino a essere sempre di più nell’acquisto consapevole, il sistema potrà contemplare l’ipotesi di modificarsi, adeguarsi. Alcuni analisti prospettano la visione di un futuro prossimo in cui sarà vietato avere un orticello in casa, i prodotti virtuosi e naturali saranno fuorilegge e saremo tutti quanti costretti ad acquistare lo stesso cibo proveniente dalla stessa industria, a prezzi bassissimi certo, ma imposti dall’industria stessa: un monopolio assoluto del food mondiale.
Sembra fantascienza ma è una realtà che potrebbe combaciare perfettamente con i principi che muovono le dinamiche descritte sopra.
Tornando al presente, risulta ancora una volta chiaro come oggi sia cruciale il ruolo della categoria della ristorazione: il somministratore di cibo a tutti i livelli infatti, in qualità in primis di acquirente di materia prima, poi di produttore quale trasformatore della stessa in cibo, e infine di venditore, ha un ruolo di intermediario unico nel suo genere. Sorvolando sulle categorie più corrotte dal sistema degli appalti basato sulla massima resa alla minima spesa (mense scolastiche, ospedaliere, autogrill eccetera), pensiamo al peso della responsabilità che dovrebbe assumersi la categoria della ristorazione indipendente e libera di cui sono testimonial, volendo o nolendo, gli chef televisivi: il potere mediatico del movimento è così forte, attualmente, da poter addirittura condizionare le scelte e le abitudini delle masse. Siano dunque costoro i primi a scendere in campo, trovando il modo di imporre alle produzioni televisive la necessità di divulgare la cultura del consumo di cibo virtuoso. Non glielo permetteranno? Rinuncino allora ai contratti di sponsorizzazione e denuncino l’impossibilità di schierarsi a favore dei diritti umani. Perché, se da una parte il consumatore finale globalizzato, impotente e condizionato può provare a rendersi responsabile e consapevole in merito alle proprie abitudini, solo attraverso proibitivi sforzi di volontà, dall’altra il Tu(r)bo Catalizzatore mediatico dispone di un potere senza precedenti in merito all’influenza sull’orientamento globale del consumo di cibo. Grandi chef stellati, voi avete delle grandi responsabilità: invece di farvi sponsorizzare dalle multinazionali, sponsorizzate, voi stessi, il cibo virtuoso.

Luca Farinotti

FONTI

#mondoristorante (Luca Farinotti, Edizioni Clandestine 2018) ISBN 978-88-6596-767-6

Are your tinned tomatoes picked by slave labour?
How the Italian mafia makes millions by exploiting migrants. By Tobias Jones and Ayo Awokoya
https://www.theguardian.com/world/2019/jun/20/tomatoes-italy-mafia-migrant-labour-modern-slavery?CMP=share_btn_fb&fbclid=IwAR0hTcDEQz0n0m_LmPMACBgmh5b70iirSabzAXZbUHeAQhLITUfEQvxwsCE

1920.- Paolo Barilla: Pasta senza glifosato? Il costo, da 20 centesimi, passerebbe a 2 euro a piatto. Lo scippo del grano sardo.

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